03 mag, 2023
Tratto da “Economyup”, articolo di Nicolò Boggian. Il lavoro che cambia, l’impatto delle tecnologie digitali su organigrammi e funzioni in azienda Nel contesto del lavoro digitale le organizzazioni tradizionali sembrano essere più abitudini che non strumenti efficaci di gestione delle attività. Bisogna prendere coscienza di un nuovo paradigma basato sui progetti e sulle competenze condivise nelle filiere. Ecco gli strumenti per gestire la trasformazione. Compito primario delle organizzazioni è produrre in modo efficace beni e servizi di qualità, eventualmente definendo funzioni specializzate, e assegnando ruoli in un organigramma aziendale. Nel nuovo contesto del lavoro digitale però gli organigrammi, le funzioni, gli uffici e i ruoli organizzativi, sembrano essere più abitudini e sopravvivenze culturali che non strumenti efficaci di gestione e sviluppo delle attività. Lavoro digitale, che cosa diventa importante nell’organizzazione Molto più importanti sembrano ormai essere sistemi informativi, piattaforme collaborative, piattaforme di gestione della conoscenza, algoritmi, network diffusi, credibilità, competenze, visione ed obiettivi. Tutti elementi necessari a gestire personale e collaboratori, in presenza o da remoto, e soddisfare al meglio le richieste di personalizzazione di prodotti e servizi, garantendo flessibilità, scalabilità e velocità di esecuzione su scala globale. La direzione di marcia pare definita e alcuni fenomeni sembrano essere “casi d’uso intermedio” di un cambio di paradigma che mette al centro la capacità di riconoscere, promuovere e combinare in modo fluido persone, competenze, esperienze ed informazioni per costruire valore. Penso alla sempre più frequente costituzione di network di imprenditori e aziende con sfide condivise, alle iniziative di Open Innovation, ai modelli di partnership commerciale, ai team cross funzionali o alle operazioni straordinarie, che man mano affiancano le modalità tradizionali di organizzazione del lavoro e di allocazione delle risorse. Oppure penso al fenomeno degli slash workers, delle forze lavoro distribuite e alla crescita di freelance e nomadi digitali, al posto delle tradizionali carriere verticali. Lavoro digitale, 5 fattori del nuovo paradigma organizzativo Questi elementi, che “curvano” la struttura tradizionale delle organizzazioni e delle carriere dei singoli, in ragione delle nuove sfide di mercato e dei bisogni degli individui, sono la manifestazione di un cambiamento del lavoro sempre più frequente, in un’inversione di tendenza per cui la normale organizzazione e i lavori “dalle 9 alle 5” sembrano dover “convivere” con una nuova struttura del lavoro. Il nuovo paradigma di lavoro emergente è costituito da una serie di elementi che elenco a seguire: La centralità dei progetti nel lavoro digitale al posto dei processi (questi sono configurabili come progetti continuativi), anche concatenati fra di loro in filiere lunghe e complesse o attivabili in modo rapido ed episodico. Dal progetto all’organizzazione Ogni nuovo progetto è potenzialmente la “gemmazione” di una nuova organizzazione che utilizza le competenze e le risorse dell’ecosistema. Il crowdsourcing delle competenze I progetti possono anche essere alimentati da una “folla” di portatori di competenze multidisciplinari, così da poterne accelerare la realizzazione e aumentarne la qualità, sostenendoli con servizi specifici come microlearning, welfare, coaching. La soluzione di problemi muovi Dall’esecuzione prevedibile di attività si passa alla declinazione creativa ed esperta di iniziative volte a risolvere problemi nuovi e mai affrontati. Filiere collaborative basate sui dati Organizzazioni diverse possono infine lavorare assieme in supply chain collaborative “data driven”, scambiando competenze ed esperienze, favorendo rotazione del personale fra diversi committenti e sviluppo di nuove capacità, orchestrando obiettivi, regole di ingaggio e risorse. Queste nuove modalità di lavoro sono già presenti, anche se in modo episodico o non formalizzato, in quasi ogni settore, sia industriale che di servizi, sia pubblico che privato, sia nelle aziende che hanno esigenze concrete di cambiamento sia in quelle che non ne hanno necessità impellente. Il limite maggiore sembra essere la capacità di visualizzare, abilitare e gestire questi nuovi processi, superando limiti legali e culturali. Gli strumenti per la trasformazione dell’organizzazione del lavoro Molte delle aziende, dei manager e degli imprenditori sono infatti, per motivi storici, formativi e professionali, abituati a modalità di lavoro” tradizionali”, e quindi faticano a sperimentare nuovi modelli produttivi più adatti a dare risposte e creare valore nell’economia della conoscenza (in cui i dati e la conoscenza sono il prodotto ad alto valore aggiunto che si aggiunge a servizi e oggetti), incappando quindi in problemi gestionali (esempio, difficoltà nel reperire e trattenere competenze tech e qualificate). Le aziende e i manager più lungimiranti e interessati a costruire solidi percorsi industriali lavoreranno invece per trasformare le modalità con cui le organizzazioni producono beni e servizi, raccogliendo dati ed informazioni e valorizzando, grazie alla tecnologia digitale, le capacità di proattività e creatività dei collaboratori, massimizzando inclusione e produttività. Gli strumenti per questa trasformazione saranno i dati, l’Ai e le piattaforme, con cui sviluppare delle “organizzazioni a piattaforma”, a geometria variabile, che focalizzino meglio gli obiettivi e le modalità per raggiungerli, definiscano regole e progetti, in questo modo soddisfacendo le esigenze di flessibilità di lavoratori e lavoratrici. Le grandi organizzazioni (o gli ecosistemi di piccole organizzazioni) potranno mettere a fattor comune dati, progetti e risorse, combinando e ricombinando costantemente persone, competenze e tecnologia, anche considerando meglio l’impatto su società e ambiente. Tramite questi nuovi modelli potranno ridurre i costi delle acquisizioni, rimodulare le strutture di controllo, ottimizzare le attività di recruiting e di esternalizzazione e costruire ambienti di lavoro centrati sulle esigenze di clienti, utenti e collaboratori, prima che su limiti organizzativi e regolamenti. Il segreto per manager e imprenditori? Imparare a disimparare Per farlo manager e imprenditori dovranno “imparare a disimparare” le modalità tradizionali di gestione del lavoro, sperimentando, valutando e progettando il cambiamento e lo sviluppo dell’organizzazione del lavoro, anche contrastando attivamente la tendenza delle organizzazioni e del mercato del lavoro a politicizzarsi e a far cristallizzare comprensibili e naturali interessi di posizione. Se infatti queste posizioni e funzioni organizzative possono costituire nel breve termine un vantaggio, consentendo una concentrazione efficace di attività e di conoscenze, diventano, a fronte di nuove sfide tecnologiche, economiche, ambientali e sociali, sempre più trappole per l’innovazione, elementi di congestione, vincoli all’aggiornamento professionale e barriere cognitive. Aziende e imprenditori di successo impareranno a rinunciare alla proprietà del tempo dei lavoratori, spostando il focus del lavoro nel distribuire meglio obiettivi, formazione e risorse, in questo modo favorendo una stabilità organizzativa basata su competenze e libera iniziativa, piuttosto che su ruoli esclusivi e ormai incomprensibili rigidità organizzative. Allo stesso tempo lavoratori e lavoratrici saranno incentivati a distribuire il loro know-how pratico e contestuale all’interno delle organizzazioni e a rinunciare in sicurezza alla propria zona di comfort professionale, ricercando nuovi obiettivi e conoscenze anche al di fuori del perimetro abituale, valorizzando il proprio percorso professionale e benessere personale. In questo modo l’organizzazione potrà accumulare conoscenze e sapere pratico, ampliando e sfumando all’occorrenza i propri confini, e favorire il coinvolgimento attivo delle persone, l’accesso al lavoro da remoto o in presenza, la distribuzione delle opportunità e la diffusione di nuove capacità, con un effetto esponenziale di intelligenza collettiva. La vera trasformazione digitale per risolvere i problemi del lavoro passa oggi dallo sperimentare una nuova struttura delle organizzazioni e del lavoro, insieme agile ed integrata, più che dall’applicazione di tecnologia digitale agli stessi processi organizzativi. Sperimentare questa trasformazione in modo intenzionale e lungimirante sarà di qui in avanti la strada più interessante per un vero salto avanti che riaccenda l’intelligenza delle organizzazioni e la passione per il lavoro.
03 mag, 2023
Tratto da “ingenere.it”, articolo di Isidoro Bracchi , Giuseppe Forte , Annamaria Simonazzi . Nel mercato delle nuove competenze Favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro oggi significa soprattutto capire come le donne ci arrivano e a quali condizioni di occupazione, in un contesto che cambia. Un’analisi a partire dai dati sulle competenze digitali. Il mercato del lavoro è investito da una profonda trasformazione che coinvolge in maniera trasversale i settori e le professioni, con notevoli criticità nel reperimento delle professionalità richieste. L’occupazione femminile, già penalizzata sul mercato del lavoro, si trova a fronteggiare le vecchie e nuove sfide, ma anche a cogliere le opportunità offerte. In questo quadro, istruzione e formazione sono un fattore chiave. I dati ci dicono infatti che il divario occupazionale di genere si riduce con il livello di istruzione. Sappiamo che in Italia, a differenza dei maschi, i tassi di occupazione sono particolarmente bassi tra le donne più giovani senza un diploma di scuola secondaria superiore. E che sono occupate il 74,7% delle donne con laurea contro il 31,6% delle donne con la sola licenza media. Formazione e sviluppo delle competenze offrono quindi un mezzo per ampliare le scelte occupazionali, anche se quote più elevate di donne nelle attività formative non si traducono automaticamente in quote più elevate di occupazione femminile. Le condizioni di fragilità del mercato del lavoro femminile in Italia – il tasso di occupazione femminile più basso dell’Ue (con differenziali enormi fra Nord e Sud del paese), part-time involontari e precarietà, carriere lavorative interrotte per maternità e lavoro di cura, segregazione orizzontale e verticale e divari salariali di genere – sono riconducibili all’interazione fra fattori di domanda e di offerta. Mancata condivisione dei lavori di cura e stereotipi sui ruoli – che definiscono le attività che ciascuno dei due sessi può o non può fare – influenzano la scelta occupazionale e, ancora più a monte, le scelte formative delle donne . La loro concentrazione nei settori con i salari più bassi e a maggiore precarietà viene così spiegata con “differenze attitudinali” che si traducono nella mancata corrispondenza fra le skill domandate dal mercato e quelle offerte dalle donne. Nient'altro che la conseguenza della scelta di percorsi fortemente segregati nella formazione e, conseguentemente, nella professione. Tuttavia, nelle scuole medie i divari di genere in matematica non sono così elevati, ma il gap inizia ad allargarsi alle scuole superiori, e questo si trasmette nella scelta dell'università. Sebbene sia aumentata la quota di donne che frequentano l'università, è ancora scarsa la quota che sceglie le lauree Stem (dall'inglese science, technology, engineering, and mathematics). E anche all’interno delle discipline Stem le donne si orientano a specializzazioni più “sociali”: medicina, ingegneria ambientale, e anche matematica e scienze, perché rappresentano sbocchi per l’insegnamento e la ricerca scientifica. Tutte attività che “una donna può fare”. A determinare le scelte sono quindi stereotipi di genere e convenzioni sociali più che attitudine o mancanza di capacità. Anche le difficoltà nel combinare una carriera professionale con le responsabilità domestiche e familiari possono indurre le donne a cercare percorsi meno competitivi e una maggiore flessibilità sul lavoro, portando a guadagni inferiori rispetto agli uomini con lo stesso livello di istruzione. I campi di studio scelti perpetuano così la segregazione di genere nel mercato del lavoro e i divari retributivi: a 5 anni dalla laurea gli uomini percepiscono mediamente il 19,6% in più delle donne, ci dicono i dati raccolti da Almalaurea per il 2022. Le differenze di genere sono confermate all’interno di ciascun gruppo disciplinare: a 5 anni dalla laurea gli uomini percepiscono il 26,1% in più delle donne nel gruppo arte e design, il 20,1% in più nel gruppo giuridico e il 18,6% in più nel gruppo politico-sociale e comunicazione. Che le differenze retributive di genere non siano solo conseguenza delle scelte di studio e lavorative è dimostrato dall’indagine sulle competenze degli adulti (Programme for the International Assessment of Adult Competencies, PIAAC).[2] Secondo il rapporto PIAAC l’aumento delle capacità matematiche è correlato all’aumento della probabilità di essere occupati e della retribuzione. Ma anche a parità di competenze matematiche, le donne tendono a essere meno occupate e a guadagnare meno degli uomini (figura 1). Vi è dunque un problema di discriminazione: in organizzazioni ancora permeate da un modello di leadership al maschile solo chi è più conforme a tale modello viene selezionato per percorsi di crescita e carriera. Trappole e circoli viziosi Data l’importanza dell’istruzione nel determinare la partecipazione al mercato del lavoro, il ruolo della formazione e dell'apprendimento permanente può essere particolarmente importante per l'occupabilità di coloro che hanno abbandonato prematuramente il percorso d'istruzione. Tuttavia, si osserva l'esistenza di una "trappola delle basse competenze": se da un lato, la partecipazione ad attività formative si riduce con la lontananza dal mercato del lavoro (figura 2), dall’altro le persone con bassi livelli di qualifiche e competenze hanno meno probabilità di partecipare all'istruzione e alla formazione, anche a prescindere dalla tipologia contrattuale (figura 3). Queste persone tendono infatti a essere impiegate in posti di lavoro che offrono pochissime opportunità di apprendimento e ricevono dunque meno formazione organizzata dal datore di lavoro (o di minor durata). Ad esempio, quasi la metà delle donne poco qualificate che svolgono lavori precari svolge occupazioni elementari (come, ad esempio, le donne delle pulizie e le collaboratrici domestiche, o le donne immigrate impiegate nella cura). Ma pesa anche l’autoesclusione: le donne, in questo caso così come gli uomini, con qualifiche basse spesso non ritengono di aver bisogno di formazione. E, non meno importante, l’esistenza di diversi ostacoli all’accesso alla formazione, dovuti per esempio ai tempi o alle modalità in cui viene erogata. Transizione digitale e digital skill Quali opportunità e rischi si prospettano con la transizione digitale? Le competenze digitali sono correlate all’età e al livello di istruzione. Non ci sono quasi divari di genere tra le generazioni più giovani nelle competenze di base, mentre sussistono differenze nelle competenze informatiche più avanzate, soprattutto nelle fasce di età più anziane. Data la velocità con cui le innovazioni digitali stanno progredendo in modo pervasivo in tutti i settori, è necessario migliorare le competenze digitali delle persone che lavorano, tenendo conto del settore e delle specifiche mansioni svolte. Per esempio, l’introduzione delle tecnologie assistive nella sanità e nella cura richiederà di formare il personale in modo che sia in grado di utilizzare al meglio le nuove tecnologie. Inoltre, con la diffusione del lavoro a distanza, le competenze digitali sono diventate sempre più necessarie per lavorare in ambienti virtuali cooperativi. Solo così sarà possibile migliorare la qualità del lavoro e offrire progressi nella carriera anche in settori finora meno propensi a offrire opportunità di apprendimento. Va osservato che l’Italia in generale si colloca agli ultimi posti per competenze digitali in Europa. Nel 2018 nell’Ue circa una persona su cinque (18% delle donne contro il 22% degli uomini) aveva svolto almeno un'attività formativa nei 12 mesi precedenti per migliorare le competenze relative all'uso di computer, software o applicazioni: i paesi nordici avevano le quote più elevate di donne coinvolte in questo tipo di attività, il sud e l’est Europa le quote più basse. Come favorire l’accesso delle donne alla formazione Negli ultimi anni sono stati ottenuti notevoli progressi nell’accesso delle donne all’istruzione e alla formazione. L’analisi che abbiamo condotto fin qui suggerisce alcune proposte su come meglio orientare gli sforzi volti a incoraggiare le donne a partecipare alla formazione e migliorare così la qualità dell’occupazione. In particolare, la formazione dovrebbe: essere mirata a contesti e gruppi specifici. Per esempio, nelle competenze digitali, si è visto che il divario cresce con l’età. Nella misura in cui la digitalizzazione diventa pervasiva, all’impresa conviene fornire o accrescere le competenze digitali delle lavoratrici (e dei lavoratori) adulte già occupate investendo su interventi formativi; la diffusione del lavoro a distanza suggerisce di migliorare anche competenze organizzative, oltre che digitali nel lavoro segretariale; essere ben progettata per superare la gamma di barriere esistenti e rispondere a esigenze diverse. Per esempio, porre attenzione nella scelta delle modalità, dei tempi e dei luoghi della formazione per consentirne la fruizione anche alle lavoratrici, favorendo la conciliazione cura-lavoro-formazione; affrontare questioni di status o di ruolo e sfidare le discriminazioni. Questo rimanda alla necessità di formare anche chi esercita un’attività di leadership, perché possa acquisire le competenze necessarie a gestire i cambiamenti nella composizione della forza lavoro – diversa per età, genere, retroterra culturale; con il diversity management si possono arricchire le competenze dell’impresa favorendone la crescita attraverso una maggiore diversità e creatività ; rendere la formazione vantaggiosa, per le imprese e per il lavoratore, per esempio attraverso il riconoscimento dell’acquisizione di competenze; promuovere l’adozione di criteri di premialità, in particolare negli ambiti dove le donne sono sottorappresentate, per favorirne l’occupabilità. Per esempio, nel settore dei trasporti , a forte presenza maschile, si potrebbe favorire la formazione e l'occupazione delle donne, contrastando la discriminazione in base ai ruoli e incoraggiando una de-segregazione. Cresce insomma la consapevolezza che una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro è una questione non solo di equità, ma di sostenibilità stessa del sistema economico. Diventa allora sempre più urgente chiarire che tipo di occupazione femminile si vuole creare e quali siano gli strumenti più adatti per ottenerla.
03 mag, 2023
Tratto da “Il sole 24 ore”, redazione scuola. Orientamento al lavoro in età scolastica: almeno 500 assunzioni per prevenire gli abbandoni e ridurre i Neet Adecco, società specializzata di The Adecco Group che sviluppa e valorizza il capitale umano, assumerà nel corso del 2023 almeno 500 persone con contratto a tempo indeterminato, in seguito alle iniziative in collaborazione con la scuola secondaria di secondo grado per potenziare l'orientamento al mondo del lavoro dei giovani. Lo scopo dei progetti del mondo Education di Adecco è creare un dialogo solido e strutturato fra il mondo della formazione e il mercato del lavoro, per contrastare lo skill mismatch che il Paese sta vivendo (tra questi, ce ne sono alcuni che Adecco da anni porta avanti, come TecnicaMente, Job Talks, Sector Challenge, Talent Factor ecc.). La prevenzione In questo modo si potrà anche contribuire a prevenire i fenomeni di abbandono scolastico e ridurre il numero di Neet (persone di età compresa tra i 15 e i 34 anni che non sono né occupate né inserite in un percorso di istruzione o di formazione). Tra i paesi Ue, infatti, l'Italia non solo è uno di quelli dove il problema degli abbandoni precoci rimane più consistente (12,7%), dopo Romania (15,3%) e Spagna (13,3%), ma è anche quello con il più alto numero di Neet: circa 3 milioni, con una prevalenza femminile di 1,7 milioni, il 25% sulla fascia d'età considerata. Supportare gli studenti nell'avere una percezione più chiara dell'applicabilità pratica dei propri studi e aiutarli nell'apprendere e sviluppare le skill più richieste nel mercato del lavoro, è utile per contrastare queste problematiche. L’orientamento Nel corso del 2022, Adecco ha realizzato numerosi progetti di orientamento scolastico, che hanno permesso di portare avanti iniziative in tutto il Paese e coinvolgere circa 30 mila studenti in 250 istituti. Le assunzioni e i settori Le 500 assunzioni che Adecco farà nel corso dell'anno si rivolgono a vari settori in molte aree geografiche del Paese, con particolare attenzione ad alcuni ambiti oggi in particolare difficoltà nel trovare addetti: • Settore metalmeccanico, in cui la difficoltà nel trovare addetti si fa sentire in particolar modo in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto-Adige. • Telecomunicazioni, in particolar modo per la cantieristica e la creazione delle infrastrutture per la fibra ottica. Veneto e Friuli-Venezia Giulia le aree più in difficoltà. • Navale, metalmeccanico, turismo e ristorazione sono invece i settori in cui si concentreranno larga parte delle ricerche per il Sud Italia. Il rapporto con le scuole «Le attività del gruppo con il mondo Education hanno lo scopo di orientare gli studenti nella scelta del lavoro che svolgeranno in futuro e renderli più consapevoli della domanda del mercato del lavoro, permettendo loro al contempo di sviluppare le skills più richieste - commenta Andrea Malacrida, amministratore delegato di Adecco -. Ma non solo, con le nostre progettualità e iniziative, che coinvolgono anche le aziende nostre partner, miriamo a creare un percorso che possa veramente integrare teoria e pratica, permettendo agli studenti di vivere la prima esperienza di contatto con il mondo del lavoro. I progetti che sviluppiamo supportano tutti gli attori interessati in maniera trasversale: gli studenti, perché maggiormente consapevoli del mondo del lavoro; le aziende, perché supportate nelle attività di recruiting, le scuole, perché in grado di essere più visibili e più attrattive. Più in generale con queste attività desideriamo accompagnare lo sviluppo economico e umano del Paese: da un lato andiamo infatti ad agire sul cosiddetto skill mismatch fra domanda e offerta, e dall'altro permettiamo ai giovani di porre le basi per un futuro concreto, ricco di opportunità e di strade da percorrere». Le attività Le attività del gruppo con il sistema educativo, che prevedono una importante crescita nei prossimi anni grazie alla crescente sensibilizzazione del mondo dell'Istruzione verso l'orientamento professionale, si sviluppano seguendo tre tipologie di attività. Plenarie: cicli di seminari su temi rilevanti per il mondo del lavoro e determinanti per preparare gli studenti al futuro, sviluppati grazie all'esperienza di Adecco nel settore e alla conoscenza delle esigenze del territorio. Le plenarie prevedono sia un approccio teorico, con approfondimenti di scenario e spiegazioni sull'importanza della digital reputation, sia uno più pratico, con approfondimenti sull'utilizzo di LinkedIn e analisi delle diverse forme contrattuali. Simulazioni: servizi di simulazione dei processi di selezione per preparare al meglio gli studenti ad affrontarli in futuro, con il supporto di personale qualificato. Le simulazioni comprendono tutto il percorso di selezione, dalla scrittura e valutazione del curriculum, alle prove di colloquio, sia in presenza che da remoto. Eventi: attività di collegamento fra il mondo della formazione e quello del lavoro, realizzati in collaborazione con le migliaia di realtà clienti di Adecco. Incontri formativi con le aziende e veri e propri project work, con lo scopo da un lato di fare sperimentare ai giovani le dinamiche aziendali e dall'altro dell'inserimento professionale dei migliori talenti.
03 mag, 2023
Tratto da “Il Sole 24 ore”, articolo di Andrea Carli. Formazione professionale, tasso di occupazione record: a tre anni dal titolo di studio lavora il 71% dei diplomati. C’è un percorso di studi che garantisce interessanti opportunità di impiego. E ciò grazie, anche, alla sua capacità di garantire un dialogo costante tra la sfera della formazione e quella del lavoro. Nell'attesa di sapere come sarà strutturato il “ liceo del made in Italy ” continua la crescita del numero di occupati tra coloro che hanno conseguito un titolo di studio nei percorsi di IeFP (Istruzione e formazione professionale) e tocca livelli mai raggiunti prima. A tre anni dal conseguimento del titolo, infatti, risulta occupato il 67,7% dei qualificati e il 71,5% dei diplomati. È quanto emerge dalla Quarta indagine sugli esiti dei percorsi di IFTS e IeFP che analizza, in particolare, la situazione dei giovani usciti dalla IeFP (qualificati e diplomati) alla fine di gennaio 2020, a 3 anni di distanza dal conseguimento del titolo. Occupati (71,5%) disoccupati in cerca di occupazione (13,9%); studenti/In formazione (8,7%); impegnati (5,3%); inattivi (0,4%); inoccupati in cerca di primo impiego (0,2%). L’indagine I risultati dell'indagine sono stati anticipati martedì 18 aprile dall'Inapp (Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche) nel corso di un seminario. «Si tratta di un ulteriore passo in avanti rispetto ai già considerevoli valori registrati due anni prima, rispettivamente del 62,2% e 69,2% - ha ricordato Sebastiano Fadda, presidente dell'Inapp – Da questo punto di vista, i percorsi dell'IeFP rappresentano probabilmente il luogo di incontro più promettente tra mondo della formazione e mondo del lavoro». La quota di inattivi non supera l’1% Anche tra i non occupati, si registra comunque un effetto “occupabilità”: la quota di inattivi tra quanti hanno conseguito un titolo di studio è davvero residuale, non supera l'1%. In altre parole, se non si è occupati si è comunque attivi. È così per il 28% dei diplomati: con il 14% in cerca di lavoro, l'8,7% in formazione e il 5,3% impegnato in altre attività. Ed è così anche per i qualificati: con il 9% di giovani che sono in formazione, il 4% impegnato a vario titolo (stage, servizio civile, ecc.) e il 3,4% in cerca del primo impiego. Desta interesse anche il dato relativo agli stranieri diplomati, che supera il 77% degli occupati; due punti percentuali in più il valore dei disoccupati rispetto alla media nazionale e 1,8 punti in meno il dato sui giovani in formazione (6,9% contro 8,7% del totale). Il dato sugli inattivi e sugli impegnati a vario titolo risulta praticamente pari a zero. I canali per trovare impiego L’indagine ha analizzato anche gli strumenti attraverso i quali i giovani hanno trovato lavoro. Il canale principale è costituito dal contatto con il datore di lavoro su iniziativa personale, che ha riguardato il 46% dei qualificati e 52,2% dei diplomati occupati. Il secondo strumento è stato la segnalazione in azienda da parte di familiari e conoscenti (34% per i qualificati e 38% per i diplomati). Va segnalato che per gli stranieri la dimensione prevalente è sempre quella del rapporto diretto con l'impresa o con l'istituzione formativa. La tipologia di contratto Dal punto di vista del tipo di rapporto di lavoro, per i qualificati si divide equamente fra tempo determinato e tempo indeterminato (con quest'ultimo rappresentato per oltre la metà da contratti di apprendistato), con un 5,5% di lavoro autonomo e una quota di parasubordinato del 5%. Per i diplomati la quota di contratti a tempo indeterminato raggiunge il 64,5% (anche in questo caso oltre la metà di questi è riconducibile all’apprendistato) a fronte di un 27% di tempo determinato, di un 7,3% di autonomo e di una piccola quota di parasubordinato. Nell'ambito del tempo determinato, sia per i qualificati che per i diplomati, il contratto standard costituisce poco meno dell'84% del totale, il lavoro stagionale poco meno del 14%, con quote residuali di lavoro intermittente e accessorio.
Share by: