Tratto da “ingenere.it”, articolo di Isidoro Bracchi, Giuseppe Forte, Annamaria Simonazzi.
Nel mercato delle nuove competenze
Favorire la partecipazione delle donne al mercato del lavoro oggi significa soprattutto capire come le donne ci arrivano e a quali condizioni di occupazione, in un contesto che cambia. Un’analisi a partire dai dati sulle competenze digitali.
Il mercato del lavoro è investito da una profonda trasformazione che coinvolge in maniera trasversale i settori e le professioni, con notevoli criticità nel reperimento delle professionalità richieste. L’occupazione femminile, già penalizzata sul mercato del lavoro, si trova a fronteggiare le vecchie e nuove sfide, ma anche a cogliere le opportunità offerte.
In questo quadro, istruzione e formazione sono un fattore chiave. I dati ci dicono infatti che il divario occupazionale di genere si riduce con il livello di istruzione. Sappiamo che in Italia, a differenza dei maschi, i tassi di occupazione sono particolarmente bassi tra le donne più giovani senza un diploma di scuola secondaria superiore. E che sono occupate il 74,7% delle donne con laurea contro il 31,6% delle donne con la sola licenza media. Formazione e sviluppo delle competenze offrono quindi un mezzo per ampliare le scelte occupazionali, anche se quote più elevate di donne nelle attività formative non si traducono automaticamente in quote più elevate di occupazione femminile.
Le condizioni di fragilità del mercato del lavoro femminile in Italia – il tasso di occupazione femminile più basso dell’Ue (con differenziali enormi fra Nord e Sud del paese), part-time involontari e precarietà, carriere lavorative interrotte per maternità e lavoro di cura, segregazione orizzontale e verticale e divari salariali di genere – sono riconducibili all’interazione fra fattori di domanda e di offerta. Mancata condivisione dei lavori di cura e stereotipi sui ruoli – che definiscono le attività che ciascuno dei due sessi può o non può fare – influenzano la scelta occupazionale e, ancora più a monte, le scelte formative delle donne. La loro concentrazione nei settori con i salari più bassi e a maggiore precarietà viene così spiegata con “differenze attitudinali” che si traducono nella mancata corrispondenza fra le skill domandate dal mercato e quelle offerte dalle donne. Nient'altro che la conseguenza della scelta di percorsi fortemente segregati nella formazione e, conseguentemente, nella professione.
Tuttavia, nelle scuole medie i divari di genere in matematica non sono così elevati, ma il gap inizia ad allargarsi alle scuole superiori, e questo si trasmette nella scelta dell'università. Sebbene sia aumentata la quota di donne che frequentano l'università, è ancora scarsa la quota che sceglie le lauree Stem (dall'inglese science, technology, engineering, and mathematics). E anche all’interno delle discipline Stem le donne si orientano a specializzazioni più “sociali”: medicina, ingegneria ambientale, e anche matematica e scienze, perché rappresentano sbocchi per l’insegnamento e la ricerca scientifica. Tutte attività che “una donna può fare”. A determinare le scelte sono quindi stereotipi di genere e convenzioni sociali più che attitudine o mancanza di capacità. Anche le difficoltà nel combinare una carriera professionale con le responsabilità domestiche e familiari possono indurre le donne a cercare percorsi meno competitivi e una maggiore flessibilità sul lavoro, portando a guadagni inferiori rispetto agli uomini con lo stesso livello di istruzione.
I campi di studio scelti perpetuano così la segregazione di genere nel mercato del lavoro e i divari retributivi: a 5 anni dalla laurea gli uomini percepiscono mediamente il 19,6% in più delle donne, ci dicono i dati raccolti da Almalaurea per il 2022. Le differenze di genere sono confermate all’interno di ciascun gruppo disciplinare: a 5 anni dalla laurea gli uomini percepiscono il 26,1% in più delle donne nel gruppo arte e design, il 20,1% in più nel gruppo giuridico e il 18,6% in più nel gruppo politico-sociale e comunicazione.
Che le differenze retributive di genere non siano solo conseguenza delle scelte di studio e lavorative è dimostrato dall’indagine sulle competenze degli adulti (Programme for the International Assessment of Adult Competencies, PIAAC).[2] Secondo il rapporto PIAAC l’aumento delle capacità matematiche è correlato all’aumento della probabilità di essere occupati e della retribuzione. Ma anche a parità di competenze matematiche, le donne tendono a essere meno occupate e a guadagnare meno degli uomini (figura 1). Vi è dunque un problema di discriminazione: in organizzazioni ancora permeate da un modello di leadership al maschile solo chi è più conforme a tale modello viene selezionato per percorsi di crescita e carriera.
Trappole e circoli viziosi
Data l’importanza dell’istruzione nel determinare la partecipazione al mercato del lavoro, il ruolo della formazione e dell'apprendimento permanente può essere particolarmente importante per l'occupabilità di coloro che hanno abbandonato prematuramente il percorso d'istruzione. Tuttavia, si osserva l'esistenza di una "trappola delle basse competenze": se da un lato, la partecipazione ad attività formative si riduce con la lontananza dal mercato del lavoro (figura 2), dall’altro le persone con bassi livelli di qualifiche e competenze hanno meno probabilità di partecipare all'istruzione e alla formazione, anche a prescindere dalla tipologia contrattuale (figura 3). Queste persone tendono infatti a essere impiegate in posti di lavoro che offrono pochissime opportunità di apprendimento e ricevono dunque meno formazione organizzata dal datore di lavoro (o di minor durata).
Ad esempio, quasi la metà delle donne poco qualificate che svolgono lavori precari svolge occupazioni elementari (come, ad esempio, le donne delle pulizie e le collaboratrici domestiche, o le donne immigrate impiegate nella cura). Ma pesa anche l’autoesclusione: le donne, in questo caso così come gli uomini, con qualifiche basse spesso non ritengono di aver bisogno di formazione. E, non meno importante, l’esistenza di diversi ostacoli all’accesso alla formazione, dovuti per esempio ai tempi o alle modalità in cui viene erogata.
Transizione digitale e digital skill
Quali opportunità e rischi si prospettano con la transizione digitale? Le competenze digitali sono correlate all’età e al livello di istruzione. Non ci sono quasi divari di genere tra le generazioni più giovani nelle competenze di base, mentre sussistono differenze nelle competenze informatiche più avanzate, soprattutto nelle fasce di età più anziane.
Data la velocità con cui le innovazioni digitali stanno progredendo in modo pervasivo in tutti i settori, è necessario migliorare le competenze digitali delle persone che lavorano, tenendo conto del settore e delle specifiche mansioni svolte. Per esempio, l’introduzione delle tecnologie assistive nella sanità e nella cura richiederà di formare il personale in modo che sia in grado di utilizzare al meglio le nuove tecnologie. Inoltre, con la diffusione del lavoro a distanza, le competenze digitali sono diventate sempre più necessarie per lavorare in ambienti virtuali cooperativi. Solo così sarà possibile migliorare la qualità del lavoro e offrire progressi nella carriera anche in settori finora meno propensi a offrire opportunità di apprendimento.
Va osservato che l’Italia in generale si colloca agli ultimi posti per competenze digitali in Europa. Nel 2018 nell’Ue circa una persona su cinque (18% delle donne contro il 22% degli uomini) aveva svolto almeno un'attività formativa nei 12 mesi precedenti per migliorare le competenze relative all'uso di computer, software o applicazioni: i paesi nordici avevano le quote più elevate di donne coinvolte in questo tipo di attività, il sud e l’est Europa le quote più basse.
Come favorire l’accesso delle donne alla formazione
Negli ultimi anni sono stati ottenuti notevoli progressi nell’accesso delle donne all’istruzione e alla formazione. L’analisi che abbiamo condotto fin qui suggerisce alcune proposte su come meglio orientare gli sforzi volti a incoraggiare le donne a partecipare alla formazione e migliorare così la qualità dell’occupazione. In particolare, la formazione dovrebbe:
Cresce insomma la consapevolezza che una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro è una questione non solo di equità, ma di sostenibilità stessa del sistema economico. Diventa allora sempre più urgente chiarire che tipo di occupazione femminile si vuole creare e quali siano gli strumenti più adatti per ottenerla.